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CINEMA DIFFICILE VII – PAOLO GIOLI

20/09/2010

Paolo Gioli sta al cinema come uno sbatti sta a qualsiasi cosa. Ovvero si faceva degli sbattimenti qualsiasi cosa volesse fare. Sperimentazioni random. Perchè no? Perchè sì? Perche gli artisti non hanno un cazzo da fare. Leggete che sicuro non lo conoscete.


Giochiamo in casa; e potrei non aggiungere altro perché questi tre termini da soli costituiscono il perfetto elemento rebussorio di questa puntata.
Certo ‘Giocare’ è una di quelle parole che non si presta alle spiegazioni facili ed a pensarci un attimo nemmeno ‘in casa’ è d’aiuto. Ed ecco s’intuisce che pure sul ‘giocare in casa’ di Paolo Gioli c’è un sacco da dire, quindi resta vero che potrei non aggiungere altro ma non è vero che lo farò.

La regola base del giuoco Gioliano è fare finta che l’evoluzione tecnologica non sia mai esistita, schiavizzare la primordialità stenopeica ai moderni concetti del suo cervello avanguardista.
Questo per esempio significa che se la fotografia è nata con un pezzo di carta fotosensibile dentro una scatola chiusa forata da uno spillo ed esposta per chissà quante ore alla luce, Paolo Gioli cerca un rewind fantascientifico, come sognando che nemmeno la scatola sia mai esistita e mettendosi un pezzetto di carta fotografica nel palmo, chiudendo serratamente il pugno tranne per la breccia di giusto giusto uno spillo ed aspettando immobile che la luce s’intrappoli.
Paolo ha sempre commesso questo tipo di atto di resistenza nei confronti del cinema, degli strumenti del cinema, e siccome persona in grado di ennesimare esponenzialmente la propria curiosità, immagino che al primo contatto con il grande schermo in mezzo millisecondo sia stato in grado di appropriarsi del linguaggio, in mezzo millisecondo si dev’essere incazzato per la monotonia della sintassi ed ecco che per il restante tutta la vita s’è devotamente attivato per fare qualcosa.
Qualcosa di intimo certo, così intimo da rendersi necessario lo sviluppo della pellicola in casa, stampata dalle proprie manine, serpentinata appesa ai settemila chiodi delle pareti di casa Gioli, dove il telefono della segretaria – sua figlia – sta sul tavolo in sala.

Giocare insomma, e farlo con una preparazione atleticamente olimpionica, in questo caso oculare. Sollevare dieci volte al giorno il divano con una pupilla sola, scrivendo con l’altra le istruzioni di come fare. Giochi di nodi enigmatici, tipo la pellicola a forma di catena e una mossa soltanto per farla lisciare. Io non ci riesco, tu nemmeno, Paolo sì.
Credo sia esattamente la differenza tr’avere la tecnica ed avere la perversione. La perversione la tecnica la mangia e la caga in un nonnulla, e quando sei in grado di cagare la tecnica o sei perverso o rimani immobile, senza più possibilità di miglioramento. Paolo Gioli è assolutamente perverso, irresistibilmente riverberato, ecocinto, come se i suoi lavori fossero tutti collegati, genealogicamente ramificati da un tronco interrato attraverso radici testardamente pervertite.
Una spiegazione efficace di come Gioli tratta materiali e significati cinematografici mi viene per analogia, paragonandolo a quello che, in Existenz di David Cronemberg, Jude Law ricava dal suo piatto quasi-pollo, in questa sequenza tra le più celebri del film.

Forse andrebbe detto prima, probabimente addirittura per primo, Paolo Gioli è artista, pittore, fotografo e regista nel senso più sperimentale del termine. E’ regista dinamitardo, quasi noncurante dei risultati ma assoluto direttore dell’orchestra dei procedimenti.
In queste rubriche non vorrei mai parlare di video arte e se parlo di Paolo Gioli è perché Paolo Gioli nutre le sue necessità artistiche con enormi bocconi di cinema.
Tutta la sua attività con la pellicola riguarda lo studio approfondito, lo smembramento delle apparecchiature cinematografiche, macchina da presa in primis. Smembramento, annullamento e rifiuto. E’ paradossale quanto Paolo Gioli abbia rifiutato le avanguardie tecnologiche in virtù di una religiosa povertà delle attrezzature, per poi applicare bizzarre innovazioni, assolutamente e baroccamente moderne, durante le fasi di montaggio.
E’ difficile farsi piacere Paolo Gioli, non c’è senso estetico votato al pubblico in nessuno dei suoi filmini, c’è però il risultato di un’operazione sempre molto affascinante, come le mentos nella coca cola, solo che applicate dosando le giuste quantità ai reattori di uno shuttle verso la luna.


Articolo di Giuseppe Mastorna