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CarnageNews

SECONDO L'OCCHIO DI PAOLO GIOLI

10/10/2012

Secondo l’occhio di Paolo Gioli – L’omaggio del Lucca Film Festival

di Epistrato, 10 ottobre 2012

E' difficile inserire Paolo Gioli all'interno di unacorrente, di una categoria della Storia del Cinema. Forse perchè affrontarlo da questaprospettiva potrebbe rivelarsi poco comodo edifficilmente fruttuoso. Cinematograficamente,Gioli è un autarchico. Proprio questo èl'elemento fondativo della sua poetica, un valoreche difende come presupposto del suo fare.
La particolarità di Gioli è che, prima di essere uncineasta, è un artista visuale. Pittore, Fotografo,si occupa di litografia e serigrafia.
Solo infine cineasta, anche se questo è il veropunto di forza di tutta la sua produzione. Perchèproprio partendo dalla pittura e dalla fotografia,Gioli rimette in discussione le tecniche ed i linguaggi che costituiscono da sempre una serie dipostulati per il cinema che siamo soliti conoscere. Costruisce da solo le macchine cheimpressioneranno le sue pellicole. L'opera emerge, per Gioli, da congegni che lui stesso progetta al solo scopo di creare quella particolare opera.

Ha costruito, ad esempio, una macchina da presa a forma di tubodell'altezza di un uomo. Con questa impressiona, attraverso unaserie di fori verticali, tutti i fotogrammi della pellicola nello stesso istante, fotografando ad esempio il corpo di un soggettodalla testa ai piedi.
Il risultato è una pellicola che, se proiettata, d' vita ad unmovimento di camera mai esistito fisicamente. Scruta il corporipreso come se ci fosse un avanzamento temporale, ma ognifotogramma ha preso corpo sulla pellicola contemporaneamente agli altri.
Gioli riesce a lavorare con pochissimo, gli bastano le briciole. Una volta usò, come otturatore del suo congegno, una foglia diuna particolare pianta (non ci dice quale), in un particolareperiodo, fatta vibrare dal vento.
Oppure la ruota di Marcel Duchamp, che egli considera insieme a James Joyce mitoinsuperabile per ancora molte generazioni.
Avrebbe  voluto che Marcel vedesse quel suo particolare tributo, le "Immagini travolte dalla ruotadi Duchamp" (2008), proiettato al Lucca Film Festival. Si chiede che faccia avrebbe fattovedendo che la sua ruota è diventata per Gioli un otturatore perfetto, trasformando un ready-made dada in un ingranaggio di una macchina da presa, una macchina per la produzione di significato. Perché Gioli ci mostra chiaramente come all'interno del linguaggio, da lui semprereinventato, si nasconde la parte più potente del contenuto.

Quelle sue immagini in movimento sembrano cercare sempre unequilibrio, una quiete. Come scrive Erik Bullot, il regista ecritico francese che introduce l'artista veneto all'incontrotenutosi al Lucca Film festival il 3 ottobre 2012, questa tensionefra movimento e quiete rispecchia le pulsioni freudiane di Erose Thanatos.
La pulsione sessuale, di vita, e quella di morte.
Non a caso fra i soggetti ricorrenti di Gioli ci sono i genitali. Ma come abbiamo già detto, questo tipo di contenuto è solo la puntadi un iceberg che diventa sempre più affascinante più si scendein profondità. Negli abissi dove la luce non arriva.
La luce si ferma alla pellicola, indirizzata da quelle invenzioni,quelle macchine di cui probabilmente rimarranno poche traccefisiche (forse perchè fatte a pezzi e rimontate per nuovi esperimenti),  ma che generanoprepotentemente l'opera. Gioli, come molto spesso accade, non è riuscito a conseguire in patria lostesso successo che gli hanno riservato all'estero.
Le sue opere sono state esposte al MoMa di New York, al Centro Pompidou di Parigi. In Italiapurtroppo il suo contributo è pressochè sconosciuto.
Questo spiega perchè a Lucca, come abbiamo già detto, è Bullot a proporre al pubblico una chiaveinterpretativa al lavoro di quello che per il nostro paese è poco più di un eccentrico signore diSarzano di Rovigo.
Poi dopo un breve intervento dell'artista vengono proiettate quattro dei suoi diciannove cortometraggi in programmazione a Lucca.

Intervista a Paolo Gioli

Una volta che il cono di luce alle spalle delpubblico si affievolisce e torna la luce in sala,raggiungiamo Gioli che ci parla del suo modo diintendere le sue ricerche. Si racconta con umiltàma con la profonda amarezza di chi non riesce araccogliere l'approvazione nella sua terrad'origine, dopo aver conseguito grandi successitra gli Stati Uniti e la Francia:

"Il fare deve essere senza che te lo chieda nessuno. Nel cinema trovi che ti venga ordinato un certomodo di procedere. Nella mia opera c'è la negazione assoluta di questo tipo di stimolo esterno. Cisei solo tu, con quello che sai e basta… le letture, quello che guardi, la natura. E' un pò unafilosofia, un atteggiamento disinteressato e spontaneo, come uno che si alza e compone, al pianoforte. Non glielo chiede nessuno. Può anche non farlo e lui si sente di farlo. E' la curiositàche continua e ti fa dire "Voglio vedere cosa viene fuori". La curiosità degli altri non c'è. Non neparlerà nessuno, non ne scriverà nessuno. Devi avere la tua forza e basta, la tua convinzione ebasta. Sei fuori da tutto.
Non vedo l'ora di andare a casa e finire due cose che mi sono venute in mente parlando,guardando voi. Non c'è mai un momento di respiro!"

Poi la discussione cade sul digitale (tema che riguarda sicuramente un artista che ha trascorso lasua vita chino a tagliare, montare e riguardare fotogramma per fotogramma chilometri dipellicola):

"Il digitale è qualcosa di straordinario, di rivoluzionario. Il cinema si tratta di chimica e dimeccanica, con il digitale si parla di elettronica. Sono due mondi diversi, devono essere separati. Ma esiste il digitale perchè esisteva il Cinema prima, in questo senso il digitale è ancora in debito.
 Il film è un supporto. Anche la pellicola per avvolgere il cibo si chiama film.Si tratta del supporto, della materia. Ma sono scelte estetiche, riguardano il modo di lavorare.
 Lavorare con la pellicolaè un grande esercizio di disciplina. Con la pellicola c'è la materia che scorre. Se hai questo grandevantaggio di vedere e rivedere subito quello che hai fatto prima di andare in stampa, alloraquesto è il momento più creativo che possa esistere. Perchè hai mezzi che ti vengono incontro, cheti superano addirittura. Ti dicono "Usami. Fai. Sbrigati." 
Hanno una potenza enorme."

Ma conclude con una riflessione disincantata:


"Però pare che i francesi, gli inglesi non hanno abbiano giovani autori creativi. Ormai anche da molti anni. Sono costretti a chiamare artisti da fuori.

Molti artisti dicono di essere schiacciati. L'autore tende a scomparire perchè soverchiato dallatecnologia. E' il momento più bello per lavorare. Eppure per adesso, ancora vengono fuori cosebrutte."

Forse ci vorrà ancora del tempo prima che anche il mondo dell'arte digitale abbia il suo Duchamp. O, magari, il suo Gioli.